Anima mia
Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
e come s’affonda nell’acqua
immergiti nel sonno
nuda e vestita di bianco
il più bello dei sogni
ti accoglierà
anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
abbandonati come nell’arco delle mie braccia
nel tuo sonno non dimenticarmi
chiudi gli occhi pian piano
i tuoi occhi marroni
dove brucia una fiamma verde
anima mia.
Nazim Hikmet.
Amo in te
Amo in te
l’avventura della nave che va verso il polo
amo in te
l’audacia dei giocatori delle grandi scoperte
amo in te le cose lontane
amo in te l’impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere nella tua carne.
CHI ERA NAZIM HIKMET .
Il poeta turco Nazim Hikmet nasce a Salonicco (oggi parte della Grecia) il 20 novembre del 1902. Il padre Nazim Hikmet Bey è un funzionario di Stato, la madre, Aisha Dshalia, una pittrice.
Studia prima francese ad Istanbul, in Turchia, poi si iscrive all’Accademia della Marina militare, ma è costretto ad abbandonarla per problemi di salute.
Come lui stesso confessa nella poesia “Autobiografia” (1962) comincia a fare il poeta a soli quattordici anni, introducendo per la prima volta il verso libero nella lingua poetica turca.
La passione per la poesia gli viene trasmessa dal nonno paterno, che, oltre che pascià e governatore di varie province, è anche scrittore e poeta in lingua ottomana.
Durante la guerra di indipendenza in Anatolia si schiera con Kemal Ataturk,
ma rimane molto deluso dagli ideali nazionalisti. Si iscrive così al partito comunista e inizia la carriera di insegnante nella Turchia orientale. Nel 1922 purtroppo viene condannato per marxismo e sceglie l’esilio volontario in Russia.
Gli è infatti impossibile rimanere in patria, dove è oggetto di una forte ostilità a causa della sua pubblica denuncia dei massacri avvenuti in Armenia nel periodo 1915-1922.
In Russia la sua vita cambia radicalmente: si iscrive all’Università dei lavoratori d’Oriente e studia alla facoltà di sociologia.
Grazie agli studi universitari, viene in contatto con i grandi poeti e scrittori russi e riesce persino a conoscere uno dei suoi maestri: il poeta Majakovskij.
Durante la permanenza in Russia si sposa, ma il matrimonio dura poco e viene annullato a seguito del suo ritorno in Turchia nel 1928.
Riesce a tornare in patria, infatti, grazie all’amnistia generale. Il clima persecutorio però che lo circonda si fa sempre più pesante e, siccome il partito comunista è stato dichiarato illegale,
lo stato turco non perde l’occasione di arrestarlo usando a pretesto dei futilissimi motivi, come l’affissione di manifesti illegali.
Nel periodo 1928-1936 Nazim Hikmet trascorre circa cinque anni in carcere, durante i quali scrive ben cinque raccolte di versi e quattro poemi lunghi.
Durante questo periodo i suoi interessi letterari si diversificano ed, oltre alle poesie,
lavora alla stesura di romanzi e testi teatrali, collaborando anche con alcuni giornali in qualità di giornalista e correttore di bozze,
qualsiasi lavoro, anche il rilegatore, pur di mantenere sua madre (rimasta vedova), la sua seconda moglie e i figli di lei.
Nel 1938 Hikmet viene arrestato con l’accusa di aver incitato la marina turca alla rivolta con le sue poesie.
Sembra, infatti, che i marinai amino leggere il suo poema “L’epopea di Sherok Bedrettini” che racconta della rivolta dei contadini contro l’impero ottomano nel 1500. La condanna è durissima: ben ventotto anni di carcere.
Rimane in prigione per quattordici lunghi anni, durante i quali scrive le sue poesie più significative.
I libri di Nazim Hikmet vengono tradotti in tutto il mondo e la sua fama di poeta cresce ovunque tranne che in patria, dove, come dovrà ammettere lui stesso con rammarico, le sue poesie non vedranno mai la luce nella loro lingua originale.
Ne chiede la scarcerazione una commissione internazionale tra i cui membri ci sono anche Jean Paul Sartre e Pablo Picasso.
Il poeta continua la sua dura battaglia contro il governo turco e dà vita a ad uno sciopero della fame della durata di 18 giorni, a seguito dei quali è vittima di un attacco cardiaco.
Durante il periodo di prigionia, divorzia dalla seconda moglie per sposare una traduttrice dalla quale avrà un figlio. Grazie all’intercessione della commissione internazionale,
viene scarcerato nel 1949, ma è vittima di ben due tentativi di assassinio che lo costringono a fuggire nuovamente a Mosca. Tutto questo accanimento contro Hikmet,
che lo stato tenta addirittura di mandare al fronte nonostante la salute sia malconcia dopo l’attacco cardiaco, contrasta con i riconoscimenti internazionali che gli vengono tributati,
tra i quali il “World Peace Council prize”; viene anche candidato al Nobel per la pace nel 1950.
L’ultima fuga di Hikmet all’estero è quasi un romanzo d’avventura:
parte con una barchetta da Istanbul, ma mentre tenta di attraversare il Bosforo viene colto da una tormenta.
Il caso vuole che riesca ad attirare l’attenzione di una nave bulgara, urlando il suo nome. Ma per quanto la nave segnali di averlo visto,
non effettua nessun tentativo di salvataggio.
Nazim quasi dispera di potersi salvare, quando la nave si avvicina e gli consente di salire a bordo. Nella cabina del capitano si ritrova di fronte ad un manifestino con la sua foto e la scritta
“Salvate Nazim Hikmet”.
Il capitano aveva quindi impiegato un po’ di tempo a salvarlo solo per ricevere indicazioni sul da farsi dal governo di Bucarest.
Si trasferisce così nuovamente a Mosca.
La Turchia intanto lo priva della cittadinanza. E’ la Polonia a conferirgli una nuova cittadinanza,
grazie all’esistenza di un vecchio progenitore da cui, secondo Nazim, derivano i suoi capelli rossi.
Di nuovo a Mosca nel 1960, divorzia dalla terza moglie per sposare la giovanissima Vera Tuljakova.
Nazim Hikmet muore a causa di una crisi cardiaca il 3 giugno del 1963. Nel 2002, nel centenario della sua nascita, il governo turco, grazie ad una petizione firmata da oltre mezzo milione di cittadini, gli ha finalmente restituito la cittadinanza toltagli nel 1951.